Dogtown and Z-Boys, narrato superbamente dalla voce di Sean Penn (nella sua versione originale) è un documentario del 2001 sulla rivoluzione della scena dello skateboard negli anni ’70 in California. Il film ha vinto numerosi riconoscimenti in vari festival statunitensi ed ha incontrato una distribuzione superiore alle aspettative. Il film è stato diretto e prodotto da Stacy Peralta, uno dei maggiori produttori di video sullo skate, ma sopratutto uno dei protagonisti delle imprese dello Zephyr Team che si raccontano nella pellicola. Si presenta come un collage ben riuscito di pregevoli materiali d’epoca ed interviste agli ex skaters legate da una colonna sonora di qualità che miscela alcuni dei migliori pezzi rock dell’epoca. Agli inizi degli anni ’70, Dogtown, situato tra Santa Monica e Venice, fu l’ultimo quartiere a cadere vittima della lussuosa espansione immobiliare della costa di Los Angeles. La triste fine del sogno americano aveva lasciato un segno tangibile ed ingombrante: i ruderi del Pacific Ocean Park un parco giochi risalente agli anni ’30, abbandonato qualche anno dopo, che dalla spiaggia arrivava fino all’oceano. Tra i resti delle passerelle e dei pontili su cui poggiava, un gruppo di ragazzini incoscienti si destreggiava con il surf, difendendo le splendide onde del loro quartiere malfamato dagli “invasori” che arrivavano per surfare attirati dalla fama di Dogtown. Quegli stessi ragazzini restavano senza passatempi nelle lunghe giornate estive in cui il mare era calmo. La soluzione arrivò quando Frank Nasworthy inziò ad utilizzare il poliuretano per fabbricare le ruote degli skateboard. Questo nuovo materiale permise di aumentare considerevolmente la velocità e la tenuta su strada. I giovanissimi surfisti di Dogtown iniziarono allora a saltare dalla
tavola da surf a quella da skateboard, ma in un modo totalmente nuovo, con manovre fluide, rischiose, aggressive ma allo stesso tempo eleganti, cercando di replicare quello che i campioni di surf stavano facendo con le shortboard sulle onde. Jeff Ho, proprietario dello Zephyr Production Surf Shop della zona, iniziò a riunire questi giovani surfisti-skater nel suo Zephyr Skate Team. Ne facevano parte Jay Adams, Tony Alva, Stacy Peralta, Peggy Oki. Cominciarono a provare le nuove ruote dapprima sulle lunghe strade in discesa di Dogtown, poi sfondarono qualche recinzione per raggiungere i cortili asfaltati delle scuole e sfruttarne le pendenze, ma la svolta arrivò quando un’ondata di siccità colpì la California e le piscine delle ville della zona rimasero a secco tutta l’estate: fu in queste “pool” che si iniziò a sperimentare lo stile vertical che rimarrà poi nella storia fino ad oggi.
Fu quando si presentarono ai campionati Nazionali di skateboard a Del Mar nel 1975 che lo sport subì un fortissimo scossone. Fino ad allora lo skateboard era considerato poco più che una moda degli anni ’60, un gioco per bambini, al pari dell’hula-hoop, con un crocicchio di adepti rimasti in California che si esibivano in evoluzioni rigide, dritti sulle loro tavole. Quando fu il turno dei ragazzi dello Zephyr “Fu come se una squadra di hockey si presentasse ad una gara di pattinaggio artistico” lanciandosi con giravolte rasoterra, accovacciandosi sulla tavola per prendere velocità , rialzandosi in surplace per cambiare direzione con eleganti sbilanciamenti del corpo. Il pubblico era incredulo e la giuria assegnò punteggi mai visti fino a quel momento. Si sanciva in quegli anni la nascita di un nuovo fenomeno sportivo e culturale che esalta lo stile, non solo nell’andare sulla tavola, ma lo stile in sé, puro. Ma il documentario non si ferma qui. La narrazione continua indagando anche la difficile gestione dell’onda del successo che si abbatte su un gruppo di ragazzi molto giovani, con alle spalle situazioni familiari e finanziarie spesso complicate. Molti di loro ne furono sopraffatti e vennero travolti da contratti con agenti ed aziende che volevano lucrare sul fenomeno. Alcuni di loro sono riusciti a trarne vantaggio, altri hanno fatto tutt’altro nella loro vita, altri ancora non hanno avuto la forza di uscire da spirali di alcol, droga e criminalità , come spesso accade quando si nasce in contesti urbani socialmente deboli. Al di là delle vicende personali di ciascuno, quei giovani dai capelli biondi e la pelle abbronzata, che sfrecciavano per le strade assolate di una California lontana vengono qui celebrati e ricordati per aver portato una rivoluzione così forte che continuerà ad influenzare lo sport, la musica e la moda per decenni e decenni, con alcuni elementi (dai capelli alle Vans) che a distanza di 50 anni sono ancora iconici per i giovani di oggi.